martedì 5 ottobre 2010

Terremoto: 55.584 assistiti in Comuni L'Aquila e cratere





Oltre 29 mila godono del contributo di autonoma sistemazione
05 ottobre, 14:46
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Il dossier di Legambiente:

"A questo ritmo ci vorranno ancora 69 anni".


L'Aquila resta totalmente paralizzata, le rovine reali sono più di quelle stimate dalla Regione. Allarme anche sullo stoccaggio dei detriti:
il sito di Paganica sta per scoppiare

di rassegna.it

Ci vorranno quasi 70 anni per ripulire le macerie del terremoto a L'Aquila e nel territorio. Lo afferma oggi (mercoledì 6 ottobre) Legambiente, a diciotto mesi dal sisma, pubblicando il dossier "Macerie, anno zero". L'organizzazione ambientalista attacca i lavori di pulizia e ricostruzione: "Procedendo al ritmo attuale - scrive - serviranno ancora 69 anni per eliminare i cumuli di macerie che giacciono sulle strade dei comuni terremotati d'Abruzzo".

"Ad oggi il territorio aquilano è ancora paralizzato - si legge -, sommerso da macerie che hanno trasformato i centri storici in veri e propri depositi di stoccaggio. C'è stato il ritardo anche nell'azione più semplice, cioè la valutazione delle macerie prodotte dai crolli nella notte del 6 aprile 2009 e dalle demolizioni controllate degli edifici pericolanti".

Secondo l'ultima analisi della Regione (luglio 2010), prosegue, "la stima massima complessiva raggiungerebbe i 2.650.000 metri cubi di calcinacci, di cui circa 1.480.000 solo nel capoluogo (56%). Ma secondo i sindaci del cratere i conti non tornano". Tra i Comuni che contestano le cifre c'è Villa Sant'Angelo, tra i più colpiti della catastrofe: "C'è una differenza considerevole tra i numeri ufficiali e i risultati di uno studio commissionato alle Università di Genova e Catania e al Cnr: solo 28mila metri cubi di detriti secondo la Regione, non meno di 40mila metri cubi secondo le sue verifiche effettuate con un metodo di calcolo diverso". In pratica, le macerie reali sono il 30% in più di quelle stimate.



In alto mare anche lo stoccaggio dei detriti. "Le macerie finora rimosse, infatti - rivela il rapporto -, sono state portate sempre ed esclusivamente alla cava ex Teges, il sito di Paganica, affidato al comune de L'Aquila e gestito dalla Asm, la municipalizzata incaricata del servizio rifiuti nel capoluogo abruzzese".

Dopo le proteste della popolazione, i detriti nell'ex cava "sono passati da un quantitativo di 500/600 tonnellate al giorno di detriti indifferenziati ad una media di 150 tonnellate al giorno di inerti, al netto dei materiali recuperabili come ferro, legno e plastica smistati in loco". Nonostante il calo, denuncia però Legambiente, "il sito di stoccaggio temporaneo rischia di diventare a tutti gli effetti una discarica, perchè finora ha continuato a riempirsi e risulta ormai vicino alla saturazione".



(ANSA) - L'AQUILA, 5 OTT - Sono 55.584 le persone assistite nel Comune dell'Aquila e nei Comuni del cratere al 5 ottobre 2010.

Lo rende noto la Struttura Gestione Emergenza.

In particolare, 25.663 sono le persone beneficiarie del contributo di autonoma sistemazione, 18.686 le persone alloggiate tra Progetto C.A.S.E., MAP e affitto, 2.720 persone in strutture ricettive e 459 nelle caserme all'Aquila. Comuni del cratere: contributo di autonoma sistemazione 3.506, affitti concordati con DPC3 435, MAP 4.050, altre strutture comunali 65.

Totale persone 8.056. (ANSA).


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Questa è la nostra vita, il nostro tempo la nostra città”
di Luca Tornatore
1 / 8 / 2010

Dalle Casematte di Collemaggio si gode di una bella vista della città de L'Aquila.

Una vita comune, condivisa, scorre liberamente fra alberi e prati, tra locali e viottoli dove si incontrano e si salutano volti che forse non conosci, ma che certamente riconosci: dalla stessa voglia allegra di costruire, di condividere, di pensare ciò che è comune e di goderne insieme negli spazi sgomberati dalle macerie con le libere carriole variopinte.

Sono una bella vista e un bel clima quelli di Collemaggio. Le Casematte del Comitato 3e32 sorgono nel parco occupato dell'ex ospedale psichiatrico: un campo autogestito che si sottrasse al DICOMAC, la "Direzione di Comando e Controllo”, che normava la vita delle tendopoli e di tutto il territorio con una minuzia di particolari che nemmeno i maiali di 1984 avrebbero saputo raggiungere: tutto ciò che consegue o alimenta la naturale attitudine umana alla socialità, all'incontro, alla condivisione e alla comunità era vietato, impedito, soffocato.

Il sisma fece crollare le strutture architettoniche e produttive che, come ovunque nelle metropoli, imponevano questa stessa normazione sulla struttura sociale. In assenza delle prime, il comando e controllo sulla seconda ridiventò nudo e tanto crudamente militare quanto è nella sua natura essere.

All'imposizione della ricostruzione con i meccanismi della shock economy come schema di riferimento normale in cui inscrivere la vita collettiva de L'Aquila, rispondono il Comitato 3e32 e l'Assemblea Cittadina determinati a riappropiarsi “di uno spazio di socialità, della voglia di stare insieme, di metterci in gioco, di riprendere in mano il nostro destino”.



A chi impone la gerarchizzazione feroce delle decisioni e delle scelte viene risposto con assemblee aperte e orizzontali e una proposta articolata di introduzione della partecipazione nei processi amministrativi locali. All'imposizione della Protezione Civile s.p.a. come soggetto demiurgo e inavvicinabile viene risposto con le carriole colorate e con il presidio permanente nella piazza liberata dalle libere carriole degli aquilani.

All'imposizione di un centro di comando e controllo gli aquilani rispondono con l'autodeterminazione delle CaseMatte: “Questa è la nostra vita, il nostro tempo la nostra città” avverte con semplicità uno striscione nella piazza di Collemaggio.

Il sisma creò una crepa nelle mura che rinchiudevano e dividevano gli individui, mostrando la prospettiva di una comunità che poteva divenire, che può ripensare le vie della città perché non servano solamente a condurre gli abitanti al lavoro, e le piazze perché non servano solo da vetrina per il consumo. Una prospettiva del tutto anormale, se si considera lo svolgersi della vita urbana in qualsiasi metropoli o cittadina dove queste brecce non si sono aperte nei muri, nei regolamenti, nelle menti.


Dall'ospedale psichiatrico di Trieste – un posto del tutto simile alle CaseMatte – Basaglia scriveva “Lo psicopatico è soprattutto diverso in quanto mette in discussione i fondamenti della norma”, dove “l'abnorme continua ad essere riferito all'infrazione di uno schema di valori che viene accettato come naturale e irriducibile, ma come qualcosa di relativo al sistema sociale di cui l'individuo fa parte”.

A stare qui, tra gli aquilani che hanno smesso dalle loro menti il grembiulino mentale del comando e controllo, ci si sente parimenti matti, folli, psicopatici. Salta addosso la voglia di costruire ovunque CaseMatte, di essere tutti aquilani.

Quasi ci si potrebbe dimenticare che Collemaggio non è tutta L'Aquila. Però basta spostarsi di poco per sbattere contro vicoli e piazze con ancora cumuli di macerie. Quelli che le libere carriole tentano di liberare a costo di diventare prigioniere: capita persino di imbattersi nel verbale, firmato da un Vice Questore Aggiunto, con il quale si notifica il sequestro di una carriola “di colore blu e cerchio ruota di colore viola”.

Pochi passi e il desiderio si infrange contro barriere di transenne che perimetrano oggi quella pochissima città possibile, tenendo prigioniera la tanta città invisibile popolata solamente da palazzi puntellati dalle orbite vuote, muti e deserti. Uno scenario da post fine-di-mondo, senza vita apparente, senza l'umano che ne abbia cura, senza comunità.

Una città che sta pur sempre e per sempre negli occhi degli aquilani che danno vita a Collemaggio – io non rido e non dimentico, scrivono sulle loro bandiere – e che bruciano del desiderio di contagiarne anche quella loro città segregata.

Lo stesso desiderio che è l'anima della grande tenda comune nella piazza del Duomo – liberata dalle macerie dagli stessi aquilani – che è la casa comune dell'Assemblea Cittadina.

Un grande striscione accoglie chi viene: “Riprendiamoci la Città”.

Il 29 sera capitiamo nel mezzo di una assemblea straordinaria (normalmente si riunisce il mercoledì e la domenica). La sera precedente Berlusconi ha annunciato che rievoca a sé – e quindi a Bertolaso – la ricostruzione a causa della manifesta incapacità delle istituzioni locali. Le quali da mesi non hanno potuto agire, essendo senza fondi, ma che nemmeno hanno costruito un percorso di rivendicazione e di partecipazione. La protezione civile non può formalmente occuparsi di ricostruzione, e si profila una ennesima torsione arbitraria e opaca di ogni diritto e di ogni norma.

L'assemblea dibatte a lungo, ma il senso della decisione sta nelle parole: “continuiamo il nostro percorso: saremo pronti a respingere delle logiche in controtendenza assoluta e inaccettabili rispetto al percorso che stiamo faticosamente facendo come cittadini. Ci siamo riappropriati anche di un nostro spazio di socialità, di una nostra voglia di stare insieme, di metterci in gioco, di riprendere in mano il nostro destino. Nessuno ce lo può togliere”.

Del resto, la risposta è già pronta: “Riprendiamoci la città”.

La notte del 31 una grande festa dei folli liberati inonderà la città per tutta la notte. Più di 200 artisti – giocolieri, musicisti, cantanti, dj – si sono messi gratuitamente a disposizione per “illuminare le ombre che si addensano sul nostro futuro per attendere l'alba di un nuovo giorno che vogliamo costruire insieme”.

Una notte totalmente autofinanziata ed organizzata, strappata al comando e controllo dalla volontà libera degli aquilani.

“Gli abitanti di questo territorio” – continua il testo che viene letto in tutte le piazze – “possono e devono progettare autonomamente il loro futuro, ma hanno bisogno di regole chiare e fondi certi. Imposizioni governative sulla ricostruzione, mai accadute per gli altri terremoti, sono un atteggiamento neo-coloniale intollerabile che nasconde prossime speculazioni sulle nostre vite. Tutti abbiamo perso molto, ma non la DIGNITÀ. Tutta la città ha dimostrato di saperla difendere con orgoglio. Se sarà necessario agiremo con forme di lotte ancora più dure e determinate. Non lasciamo il nostro futuro in mano ad altri.”

Lunghi applausi accolgono la lettura di questo appello in tutte le piazze che davvero questa notte esondano di vita, di volti, di entusiasmi. L'eco vibrante dei balli e dei canti assomiglia tanto al segnale di un terremoto per il potere.

Non resta che costruire ovunque le nostre CaseMatte.