L’Aquila due anni dopo
Inchiesta
Kiara Monaco
2 aprile 2011 Gli aquilani riempiono le strade, girano per i vicoli e soprattutto combattono.
Le finestre ancora aperte e le tende mosse dal vento. Le stanze senza pareti e le sedie e le scrivanie con libri e quaderni ancora aperti, come se fossero stati abbandonati ma solo temporaneamente. Macerie accatastate e ruspe ferme chissà da quanto tempo. Le case vuote, le stradine deserte ed i negozi chiusi con le insegne ancora penzolanti.
IL SILENZIO – E poi c’è il silenzio. Assordante. Un silenzio che fa dimenticare che al di là delle transenne la vita continua a scorrere. Eccola la zona rossa dell’Aquila, il centro storico del capoluogo abruzzese che, a quasi due anni dal terremoto, continua ad essere un luogo chiuso, transennato, una barriera che circonda monumenti e case ed il cui accesso è negato ai cittadini. Un’area della città che ha subito più delle altre i danni della scossa ma che continua inevitabilmente a portare su di sè l’immagine di quella notte. Poche case abbattute, le vie sgombre di macerie, accatastate invece sui lati della strada a coprire un vuoto che si fa sentire ugualmente. L’impressione è quella di entrare in un quadro, tutto è fermo, ma in uno stato di desolazione ed abbandono. E c’è da chiedersi se la colpa di tutto questo sia davvero solo della Natura. Ma se la zona rossa appare deserta, al di là delle barriere gli aquilani riempiono le strade, girano per i vicoli del centro ritrovando il piacere di vivere quella parte dell’Aquila che ancora gli spetta.
COMBATTONO – E soprattutto combattono. Combattono per la loro città, denunciando così la lentezza e l’assenteismo di chi dovrebbe occuparsi della ricostruzione. E’ proprio questo il caso del Popolo delle Carriole, movimento spontaneo nato per ripulire il centro storico. “E’ nato naturalmente, senza nessuna organizzazione” – spiega Anna Barile, rappresentante del gruppo – “Non so quale sia stato il motivo o lo stimolo in grado di unire improvvisamente così tante persone: anziani, giovani, bambini, donne e uomini, di destra e sinistra. Però vedere la città, in cui hai scelto di vivere, abbandonata…” Qui Anna si ferma e gli occhi le diventano lucidi. E pensare che non è neanche dell’Aquila, nata a Roma vive qui da 20 anni con il suo compagno. Prima del terremoto abitava in città, dopo il 6 aprile la sua casa fu classificata E (edifici più danneggiati) e le venne assegnato un alloggio del Progetto CASE a Camarda, ad 11 chilometri dal centro, dove abita con il compagno e la suocera. Del Popolo delle Carriole Anna parla con soddisfazione, aggiungendo però che “chi avrebbe dovuto prendersi davvero cura di una città terremotata non l’ha fatto. Questo ci ha spinto ad incontrarci una domenica, senza pensare a quante persone ci sarebbero state, e cominciare a portar via con le carriole un mattone per volta. Sarà anche poco, ma intanto è una spinta, se non si comincia non si finisce mai.” Dunque dopo un anno di “torpore soporifero e deleterio che ha mandato in depressione tante persone, abbiamo avuto uno scatto di dignità.”
IL POPOLO DELLE CARRIOLE - Un’iniziativa, quella del Popolo, che avrebbe dovuto rendere orgogliosi cittadini, amministrazione ed istituzioni. Invece non è andata proprio così, e forse il motivo non è difficile da comprendere. “Peccato non essere riusciti a trovare il modo di rafforzare il movimento. Anche se credo che qualcuno ne abbia avuto paura. Perchè una cosa così non la fermi neanche con l’esercito. Quando la gente è determinata si può abbattere qualsiasi barriera. Io ho visto anziani che non si reggevano in piedi, eppure avevano una forza incredibile nell’alzare le transenne. Hanno avuto paura che l’operato delle nostre istituzioni fosse messo in cattiva luce.” Così il movimento ha subito prima il sequestro delle carriole, poi la polizia ha effettuato alcuni sgomberi ed infine non sono mancati gli avvisi di garanzia per manifestazioni non autorizzate. Tutto questo mentre i cittadini cercavano di pulire la città dalle macerie.
IL TORRIONE – Un piccolo traguardo però è stato raggiunto: dopo più di un anno di lettere e richieste di ogni tipo per ottenere un piccolo spazio dove riunirsi, il Popolo delle Carriole ha indetto di forza un’assemblea nella sede del Comune ed in quell’occasione gli è stato concesso un ex tendone dei vigili del fuoco. “Ora lo stiamo allestendo. Siamo pochi, ma abbiamo lo zoccolo duro dei resistenti e ci stiamo organizzando per ripulire il Torrione. Lì ci sono macerie ma anche tanta immondizia”. Ma il Popolo delle Carriole è solo una delle espressioni della volontà dei cittadini di vedere l’Aquila rinascere. Perchè gli aquilani sono i primi ad essere consapevoli di quello che è accaduto e della difficoltà nel riportare la città all’atmosfera di un tempo. Ma hanno anche la lucidità di ragionare su ciò che si potrebbe effettivamente fare per dare un avvio concreto alla ricostruzione. Se non fosse per quella mancanza di dialogo tra amministrazione, istituzioni e popolazione, denunciata in diverse occasioni. E quella stessa mancanza Anna la riscontra nelle informazioni che dovrebbero passare attraverso la televisione ed i mezzi di comunicazione mediatici. “Ultimamente c’è stato il caso di Forum da cui è passata un’informazione indegna. Due finti aquilani, tra l’altro due persone da noi conosciute, che fanno delle dichiarazioni del genere in televisione. E’ assurdo. Poi Rita dalla Chiesa ha voluto ringraziare Guido Bertolaso per quello che ha fatto, ha voluto riportare in auge una figura indegna, un personaggio squallido. E lo stesso vale per il premier, Silvio Berlusconi, che vuole venire all’Aquila il prossimo 6 aprile.” L’invito di Anna per il Presidente del Consiglio, simbolo di un pensiero collettivo e numeroso, è quello di presentarsi al processo piuttosto che utilizzare ancora una volta il capoluogo abruzzese come passerella elettorale. “L’anno scorso non è venuto. Il motivo fu che aveva paura di alcune ‘menti troppo fragili’, aveva timore di incontrarci. Quest’anno invece vuole venire, quando magari le menti più che fragili sono incazzate. Perchè qui non si vede nulla, la ricostruzione pesante è ferma.” Non ha torto Anna, e per capirlo basta girare per le vie della città, della periferia o del centro, dove i lavori per le case classificate B o C dovevano essere finiti in pochi mesi. Nel frattempo 1300 sfollati continuano a passare le loro giornate negli alberghi, con l’incertezza e la paura di doversi mettere l’anima in pace e di dover passare lì ancora molto tempo.
LE C.A.S.E. – Ma il disagio non è solo una triste priorità di chi vive ancora oggi negli Hotel, ma anche di coloro a cui sono stati assegnati gli alloggi del Progetto CASE. “E’ chiaro che all’inizio, dopo 8 mesi di tenda, anche se ci davano uno scatolone con un bagno e una doccia ci sarebbe andato bene. Però dopo due anni ti rendi conto che un conto è essere in vita, un altro conto è vivere. Ci sono degli anziani che prima abitavano all’Aquila, sono stati sbattuti qui e non hanno la possibilità di fare nulla. Senza macchina, senza niente. L’unico negozietto è quello di Pasqualina, una signora di Camarda che ha riaperto nonostante si trovi in zona rossa ed il paese sia vuoto. E gli anziani devono fare avanti e indietro da qui a lì, a piedi. La domenica non abbiamo nemmeno gli autobus.” Eppure quegli alloggi del piano CASE hanno offerto ai terremotati un luogo in cui vivere, un tetto sulla testa nell’attesa di potersi riappropriare dei rispettivi appartamenti. Ma tutti coloro a cui non è stata assegnata una casa? Cosa hanno fatto in questi due anni? Perchè non hanno ottenuto l’alloggio e l’assegnazione come è avvenuta? Alle dichiarazioni di Anna fanno eco quelle di Jacopo Scotti, 23 anni, studente della facoltà di Scienze Motorie dell’Aquila, uno dei tanti giovani che ha scelto di restare nella città in cui è nato, malgrado il terremoto e malgrado ancora oggi ricostruzione e ripristino siano due parole lontane dal futuro degli abitanti e degli studenti. Jacopo racconta che per l’assegnazione degli alloggi i terremotati hanno dovuto affrontare un vero e proprio esame. “Non è detto che avendo la casa classificata E la gente avesse diritto ad un appartamento del progetto. Ci è stato chiesto quante case avevamo, quanti animali, di presentare le bollette del gas e della luce.” Anna aggiunge che i requisiti apparivano quasi ridicoli. “Dopo essere stata una giornata intera ad aspettare di parlare con questa commissione, mi sono ritrovata davanti ad un tavolo di persone che mi studiavano, per di più con aria di sufficienza, con l’autorità di decidere o meno se io avessi il diritto di avere un tetto sulla testa. Abbiamo dovuto consegnare tutti documenti giustificativi, più bollette di gas e luce.” Anna ha superato quell’esame, oggi vive a Camarda. Ma non tutti i terremotati sono stati fortunati quanto lei. Sua figlia ad esempio è stata giudicata ‘non idonea’ perchè il consumo della luce da lei presentato risultava troppo basso. “Peccato che la casa l’aveva finita di pagare a febbraio, in contanti, per poi entrare a marzo. Quindi abitava lì da meno di un mese. Era ovvio che i consumi fossero bassi.”
VITA IN UN CAMPER – Oggi la figlia di Anna vive in camper. “Siamo stati diversi mesi nelle tendopoli, ma la situazione dopo un po’ è diventata invivibile. Fortunatamente avevo un po’ di soldi da parte ed ho comprato un camper a mia figlia, uno a mio figlio ed uno per me ed il mio compagno.” Ancor più inquietante è stata la situazione affronata dal figlio che, per cinque mesi, ha abitato in camper insieme a moglie, figli, suocera e cognata. “Poi la sua casa è stata dichiarata agibile, quindi sono rientrati subito, perchè avevano anche una bimba appena nata. Solo che sono rimasti un mese senza luce e gas.” Ma per il figlio di Anna e la sua famiglia rientrare nel proprio appartamento è stata solo un’illusione durata poco. Quella casa, classificata come A, è stata subito messa in mano alla ditta per la ristrutturazione e per altri 4 mesi gli inquilini sono tornati nel loro camper. Ma Anna aggiunge un piccolo dettaglio: “La casa era A ma i tetti si erano mossi, le tamponature interne ed esterne erano lesionate, insomma i lavori da fare erano consistenti. La cosa assurda è che quando hanno tolto le mattonelle del bagno, per rifare le tubature, le hanno messe in una scatola che ha letteralmente sfondato il pavimento. In pratica mio figlio ha abitato in una casa A che in realtà era pericolosissima.” Una disavventura simile ha rischiato di viverla anche la stessa Anna. Un appartamento inizialmente classificato B, con tanto di verifiche effettuate da ingegneri esperti. “Quando sono arrivati ci hanno addirittua chiesto se avevamo noi un martelletto. Non avevano neanche l’attrezzatura. Hanno effettuato un’analisi esclusivamente visiva. Per fortuna ci siamo accorti che una colonna interna si era spostata, era completamente fuori asse, quindi era un danno strutturale. Abbiamo chiesto una verifica successiva e lì sono venuti attrezzatissimi ed infatti hanno trovato cinque colonne spostate ed hanno classificato la casa come E.”
NEL CASSETTO – Ma Anna vuole aggiungere qualcos’altro sul Piano CASE: “Quel progetto ce l’avevano già nel cassetto e l’hanno tirato fuori due giorni dopo il terremoto. Era un progetto dell’Eucentre, una fondazione della Protezione Civile con a capo Gian Michele Calvi. Lo stesso Calvi che faceva parte della commissione ‘Grandi Rischi’. Quelli che c’hanno mandato al macello prima del 6 aprile, sono gli stessi che dopo il terremoto ci hanno costruito le case. Case che valgono 3000 euro a metro quadro ma che in realtà non valgono niente. I pensili si muovono, le cose si sbullonano, i bagni sono senza finestre. Non possiamo sentirci a casa in un posto così, potendolo a malapena personalizzare.”
GLI AFFITTI - La voce di Anna è un misto di rabbia, amarezza e paura. La paura di chi non ha alcuna risposta, di chi vorrebbe sapere se vivrà così per sempre. All’Aquila manca il diritto dei terremotati di scegliere per la propria vita e per quella dei propri figli. “Non è il mio caso, ma qui ci sono famiglie con bambini piccoli che giustamente vogliono organizzarsi, devono sapere se trasferirsi, se far crescere i figli qui o in un posto dove funzionano le scuole, le biblioteche.” E se qualcuno decide di abbandonare camper, alberghi e case nuove, per tornare invece ad abitare all’Aquila, deve fare i conti con gli affitti della città. Quegli affitti per cui la Protezione Civile contribusice con un tetto massimo di 600 euro, ai quali va aggiunto il costo deciso dal proprietario. Speculazione, è l’unica parola che sale alla mente. Per affittare un appartamento in città si deve essere pronti a sborsare una media di 1200 euro. Ma ascoltando l’opinione dei cittadini, l’errore non è dei proprietari, quanto piuttosto della Protezione Civile che ha fissato un tetto massimo per il contributo ma non per i prezzi decisi dagli affittuari che, allo stesso tempo, tendono a tutelarsi imponendo costi alti. Perchè come ci ricorda Anna “chi gli da la certezza che il contributo arrivi?”. Sulla questione degli affitti interviene anche Giusi Pitari, prorettrice dell’Università dell’Aquila e rappresentante dei comitati cittadini. Mentre parla il suo pensiero è rivolto agli aquilani ma ancora di più ai giovani e agli studenti dell’Università e non dimentica di denunciare ancora una volta l’assenza di dialogo con chi dovrebbe effettivamente occuparsi della rinascita dell’Aquila. “Non mi spiego perchè non si possa aprire un tavolo per fare in modo che questi ragazzi vengano tutelati. Anche prima c’erano gli affitti in nero, ma ora i prezzi sono esagerati, non solo per gli studenti ma per tutti i cittadini. E’ possibile che non si possa, a costo zero, cominciare a fare dei controlli, anche tramite la Guardia di Finanza?”. L’impressione che sale alla mente ascoltando Giusi Pitari è quella di avere di fronte una grande donna, simbolo della forza di tanti aquilani ma, ancor di più, degli ostacoli che deve affrontare chi, senza appartenere agli alti livelli del potere, tenta di fare proposte concrete. Le idee non mancano, i progetti nemmeno, “si potrebbero trovare tante soluzioni, invece sembra che non si possa fare niente, per l’Università, per gli studenti, per il commercio e per il lavoro.”
LA CASA DELLO STUDENTE – La Casa dello Studente, ormai divenuta un simbolo del terremoto dell’Aquila, è ancora oggi l’immagine della mancata ricostruzione. “Sempre il Ministro ci aveva promesso 16 milioni di euro per la nuova Casa dello studente, ma non esiste neanche un progetto.” E per chi volesse replicare con la sede per 120 studenti costruita a Coppito con i fondi della Regione Lombardia, ovvero con soldi pubblici, ed inaugurata il 4 novembre 2009, c’è da ricordare che quegli alloggi sono interamente gestiti dalla Curia, con tanto di autorità nel decidere chi deve accedervi. “Ok, lì ci sono 120 ragazzi, ma non è stata seguita nessuna graduatoria di reddito.” Lo stesso vale per i diritti che concedono le borse di studio. Fatto sta che a più di un anno dall’inaugurazione, ancora oggi nessuno sa in base a quali criteri la Curia assegni gli appartamenti per gli studenti. “I ragazzi hanno manifestato contro questa gestione, sulla quale compare anche la firma della Regione e del Comune, però sembra che la Curia sia intoccabile.” Per quanto riguarda quei 16 milioni promessi dalla Gelmini, arriveranno quando esisterà un progetto. Peccato che l’Università non abbia le competenze per gli alloggi, dunque se ne dovrebbe occupare la Regione tramite l’Adsu, eppure oggi è tutto fermo.
LA STUTTURA DEL CANADA – Ma la ciliegina sulla torta è la storia di una struttura a Coppito donata dal Canada, la cui inaugurazione è avvenuta alla presenza di tutti, incluso Guido Bertolaso. “E’ un centro polifunzionale, con tanto di campo da basket, sale studio comprensive di computer, una sala di proiezione cinematografica, una palestra con tanto di tapis roulant, cyclette e spogliatoi con docce.” Un edificio perfetto per riunire gli studenti, per offrirgli un luogo di studio ed aggregazione. Peccato che dopo l’inaugurazione non sia stato mai aperto. Per colpa di chi? La struttura di Coppito, donata dal Canada dopo il terremoto, è stata costruita dalla Protezione Civile su un terreno del Comune, che avrebbe dovuto accatastarla. Ma essendo stato presentato come MUSP (Modulo ad uso scolastico provvisorio) l’edificio non poteva essere accatastato. “Io credo che in una città terremotata, visto che si è andati in deroga ad ogni legge, avrebbero potuto fare qualcosa anche in questo caso. Ora sembra che la situazione sia cambiata e manca l’approvazione del consiglio comunale che, però, non si riunisce.” Una volta acquisita dal Comune la struttura dovrebbe essere ceduta all’Adsu che avrà così la gestione per aprirlo. Una promessa che, si spera, sarà mantenuta. La sensazione che nasce, ascoltando i pareri della gente che vive quotidianamente l’Aquila, è quella di uno stato di immobilismo che coinvolge la realtà della sua ricostruzione. Una lentezza, di enti ed amministrazioni, che sembra non permettere ai cittadini di ripartire e rinascere. “Noi siamo ripartiti con l’attività didattica, ma devono partire anche i servizi per i ragazzi, così come per l’intera città. Questa solidarietà che ci danno gli studenti potrebbe venire a mancare. I giovani fanno vita universitaria, studiano, ma hanno anche bisogno di vivere la città, quindi di progetti sociali. Certo sicuramente sono stati facilitati perchè per tre anni non pagano le tasse, però il sacrificio che gli viene chiesto è enorme. Io credo che siano molto più maturi di quello che pensiamo noi. Hanno fatto questa scelta consapevolmente e forse con l’idea di sostenere la città. E non penso assolutamente che sia stata solo una scelta di convenienza. In fondo sono mille euro a fronte dei sacrifici che fanno.”
LA RICOSTRUZIONE - Così dall’Università, al centro storico, alla perfieria, fino al diritto di rinascita di una cittadinanza intera, la ricostruzione, la vera ricostruzione, sembra non essere mai realmente partita. Molte strutture danneggiate non hanno ancora un progetto di ricostruzione, nelle strade le insegne dei negozi lasciano ancora spazio a scritte impresse sui container, molti esercizi commerciali sono chiusi dal 6 aprile 2009. In Piazza Battaglione Alpini, nel centro dell’Aquila, è stato da poco concesso un container agli anziani che fino a qualche tempo fa, per giocare a carte, si riunivano sotto la pensilina della fermata dell’autobus. Ma una buona notizia c’è, i cittadini non se ne sono andati, continuano a riempire le strade e a far vivere la città, per il diritto ad un futuro nel luogo in cui desiderano abitare e in cui probabilmente hanno passato una vita intera. E a proposito di futuro, la proposta di Anna giunge a nome di gran parte della popolazione aquilana, quella che forse ancora non si è rassegnata e non ha alcuna intenzione di farlo. “Quello che chiediamo è un dialogo con le amministrazioni, perchè altrimenti non c’è informazione. Quindi proponiamo un cronoprogramma, cioè qualcuno che ci dica, ad esempio, che da qui a cinque anni toglieranno le macerie, o che tra sei anni rifaranno una parte della città. Anche perchè noi scopriamo le cose solo attraverso i giornali.” Ma un cronoprogramma non è l’unica proposta di coinvolgimento presentata dagli aquilani: “All’assemblea dei cittadini dello scorso anno, quando abbiamo avuto il massimo della partecipazione, erano presenti parecchi consiglieri comunali ed anche il Sindaco. In quell’occasione abbiamo chiesto delle assemblee informative, una sorta di question time, da fare anche solo una volta al mese. Inizialmente ci hanno fatto credere di essere interessati, ed infatti è stato approvato un regolamento di trasparenza presentato da noi. Per quello di partecipazione invece ancora nulla.”